martedì 7 febbraio 2017

Domande e risposte sul golf – L’importanza del marketing e del management nello sport più bello del mondo



Il successo di un articolo non è facilmente preventivabile. Dipende dai lettori. Quando un paio di settimane fa ho scritto quello nel quale spiegavo la strategia di marketing dietro il successo della golfista Paige Spiranac, non avrei mai immaginato quello che è successo. Il post di lancio sui social ha raggiunto numeri notevoli, la stampa generalista ha “ripreso” – come si dice in gergo – l’articolo e ho ricevuto molti messaggi in privato. Mi chiedevano di dare una mia visione del momento attuale del golf in Italia. A mandarmi questi messaggi non erano solo i miei amici golfisti e addetti ai lavori, ma anche semplici aspiranti golfisti o amanti dello sport in genere.
Questo a riprova che nei confronti di questo meraviglioso sport c’è una grande “simpatia” e curiosità.
Da golfista, ho rispolverato la mia rubrica telefonica e ho chiamato alcuni miei amici che gravitano, a vario titolo, attorno al mondo dei green. Volevo ascoltare i cosiddetti addetti ai lavori. Volevo capire.
Chi mi conosce, sa bene che non sono persona che apre bocca quando non conosce l’argomento.
Scrivo quindi questo articolo in qualità di esperto di marketing, ex atleta professionista, giocatore di golf e conoscente di molti operatori del settore.
La parola che ho sentito pronunciare più spesso è “crisi”. Tanto per cambiare!
È indubbio che la gestione economica di un circolo sia difficoltosa. I costi fissi, basta fermarsi un attimo a pensare,  sono notevoli.

È altresì indubbio che ci siano però due fattori che non possiamo ignorare.

Il primo: la parola “crisi” viene spesso utilizzata a sproposito. Non si tiene conto del fatto che la crisi sia strettamente collegata al concetto di tempo. Se in questo momento io avessi una crisi respiratoria, e non passasse nel giro di qualche minuto, i miei parenti ne avrebbero un forte dispiacere. Almeno credo.
Quando un fattore negativo persiste, si deve parlare di fattore patologico, non di crisi. Questa crisi (vera o presunta) dura da troppo tempo per essere tale.

Il secondo: è un fattore di approccio al problema. Di natura culturale e psicologica. Quando mi parlano di “crisi”, mi sottolineano sempre cosa non va, e si fermano.
Mai una soluzione o un’azione!
Dei problemi sanno tutto, sono degli esperti, tuttavia quando finiscono di parlarne cala un silenzio imbarazzante e surreale. Come se la soluzione dovesse venire dal cielo o comunque sempre da qualcun altro. È come se chi facesse parte del problema, automaticamente si sentisse escluso dalla soluzione pur facendo parte di quell’ambiente.

Dare una soluzione a tutto questo non è semplice. Tutto sta nella ricerca di un equilibrio tra strategie di co-marketing (turistico e sportivo), management aziendale, event management, reputation management e soprattutto un cambio di mentalità ed approccio.
Tra i maestri di golf ormai si è già fatto strada il concetto di mental coaching. Peccato che gli stessi professionisti e i gestori dei circoli, il cambiamento mentale non lo attuino, e continuano a commettere errori che sono il frutto di abitudini e approcci sbagliati, che con il tempo si sono trasformati in metodo.

È necessario imparare a ragionare per macro sistemi. Inserendo il circolo e le proprie strategie in ambiti più ampi.
- Bisogna inserire il circolo all’interno di un contesto turistico di incoming attivo (marketing turistico)
- Bisogna lavorare sulla visibilità e sulla reputazione del circolo, affinché il pubblico possa entrare in contatto, conoscere e scegliere di far parte di quel golf club. Bisogna rendere il socio fiero di far parte del proprio circolo e del suo brand, facendo leva sullo spirito di appartenenza. Che non è da confondere con la cena natalizia! Mi riferisco a quell’esperienza esclusiva che deve vivere entrando quotidianamente nel suo golf club. Bisogna educarlo all’etichetta e fare in modo che questa disciplina diventi quello che cerca e che per lui fa la differenza. Sempre più spesso i telefonini suonano nelle club houses e sui campi, con conversazioni che diventano di dominio pubblico - per usare un eufemismo.
Domanda: ma devo pagare una quota da migliaia di euro anche per questo?
Bisogna in altre parole lavorare di RP, di reputation management e comunicazione.
- Bisogna avere una strategia di management corretta da attuare ogni giorno. Sono le buone prassi aziendali a dover diventare delle abitudini. I vecchi schemi mentali e tecnici, insieme alle vecchie abitudini, non permettono ai circoli di poter creare delle nuove opportunità di business. Poca attenzione verso i potenziali stakeholders, gli sponsor e i potenziali investitori, limitano le grandi potenzialità che un circolo ha di attrarre flussi economici e finanziari. In altre parole serve una strategia di management aziendale.
- Bisogna creare eventi, degni di questo nome. In grado di attrarre sportivi e persone che altrimenti non conoscerebbero le nostre realtà. Bisogna capire che un circolo può far parte di un sistema di interesse ampio e variegato, che aspetta solo di essere conquistato.
- Bisogna imparare a fare la differenza. Un golfista sa già cosa aspettarsi da un golf club quando lo visita la prima volta. Questo è buono. È rassicurante. Ma basta? Dobbiamo fare in modo che quel golfista ci aiuti a creare la nostra credibilità, la nostra reputazione positiva. Basta poco a volte per fare la differenza. Una buona comunicazione, la giusta professionalità del personale, la giusta cura per i dettagli.
Il logo ad esempio, spesso è solo un feticcio dell’estabilishment del circolo, o al contrario una cosa che viene vista come “inutile”. Il logo è il marchio distintivo che i soci e gli ospiti devono ricordare con orgoglio quando pensano alla loro esperienza di gioco e soggiorno.

Come si vede, attuare tutto questo non è facile. E non si può pensare che qualcosa di così complesso possa essere fatto “con il fai da te”, citando un vecchio spot di un noto tour operator che terminava con un “ahi ahi ahi!”.
È necessario coinvolgere professionisti delle suddette discipline.

Una delle cose che mi ha colpito maggiormente è stato sentire frasi del tipo:«C’è crisi, non ce lo possiamo permettere». Ma scusate… ma il medico voi lo chiamate quando state bene? O lo chiamate per gestire la crisi e fare in modo che non diventi una patologia o un’agonia?

In questo contesto, vi è un’altra anomalia che non riguarda solo i circoli, ma anche i maestri e i professionisti. Ho parlato con alcuni di questi, e ho scoperto una cosa che mi ha lasciato perplesso. Per usare un altro eufemismo.
Non si vedono come degli atleti professionisti. (!)
Hanno tutti il poster di Rory McIlroy e Tiger Woods nel pro shop, ma non fanno nulla per avere i loro benefit. Si accontentano di avere “sponsorizzazioni” di aziende che gli cedono del materiale in usufrutto e si sentono realizzati. Quelli che pensano di essere più accorti inseriscono la parola “academy” accanto al cognome e con una pagina facebook con 200 o 300 “mi piace” credono di aver raggiunto un buon risultato.
Nell’articolo che “mi ha portato” a scrivere questo (1), ho spiegato come ad attirare le opportunità di business e gli sponsor ormai siano (soprattutto) i volumi, la visibilità e la reputazione nel mondo del management sportivo applicato agli atleti. Dovremmo già essere oltre questo concetto, non dovrei essere qui a scriverlo; ancora e ancor di più il lettore non dovrebbe leggerlo, ma avrebbe già dovuto interiorizzarlo. Che piaccia o no, una cosa: o funziona, o non funziona. O porta risultati, o alimenta le convinzioni, e queste non portano i flussi e i volumi che si potrebbero avere.
Alla domanda: «Perché gli sponsor veri dovrebbero darci i soldi? »
 C’è un’unica risposta: Per la visibilità che puoi dargli e per il valore percepito positivo collegato alla tua immagine e al tuo lavoro. Non per la “stima” dei colleghi (che comunque ci dovrebbe essere) e per i pochi contatti a disposizione. L’audience è un elemento semplice che esiste da molto tempo ormai. Non vale solo per gli altri. E non sono sempre e solo gli altri ad avere qualcosa da dimostrare. Al centro della mente e degli obiettivi di un atleta, pretendo il miglioramento dei propri limiti.

Ora, credo sia giusto terminare questo articolo con una domanda. La domanda che tutti si pongono.
Possiamo fare qualcosa per migliorare la situazione? La risposta è ovvia: SI. Ma bisogna cambiare mentalità e abitudini.

È necessario che ognuno faccia il proprio lavoro e che per quello che non si conosce si chiamino professionisti in grado di fornire risultati, ancor più che servizi. Il fai da te non solo non basta, ma come le convinzioni, rischia di essere pericoloso. Non solo per le persone, ma anche per uno sport che merita di essere amato e di essere praticato. Accettate la sfida! Io sono pronto a farlo! E voi? Nel frattempo, mentre ci pensate, prendo la mia sacca e vado al circolo.

Emmanuele Macaluso

(1) link all’articolo dedicato a Paige Spiranac e alla sua strategia di personal branding e marketing http://emacaluso.blogspot.it/2016/02/case-history-paige-spiranac-quando-i_11.html